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amiamoci e patiamo.

lunedì 24 febbraio 2014

questione di fili


Forse non è la cosa più bella da raccontare.

Ogni giorno un drappello si riunisce e organizza la fuga. Si confondono nella folla, si preparano: il primo passo è abbandonare le radici, e i fratelli che restano. Poi si danno appuntamento alla prima doccia, o alle ore di libertà condizionata sul cuscino; i più coraggiosi agiscono in pochi secondi, al primo cambio dell’elastico. Sognano di andare in giro per il mondo a raccontare quello che hanno visto dall’infanzia ad oggi, da sei anni a questa parte. Alcuni riescono, prendono il primo vento e volano via. A volte li accompagno io stesso. Altri invece si nascondono negli angoli, o tra le trame dei tessuti, e non ne ritrovo che le spoglie: sfatte in overdose da polvere, accartocciate, annegate in centrifuga.

Ne ho incontrato uno che mi ha lasciato quest’estate. Stava per prendere il vento, ma proprio all'ultimo momento ehy, tu! si sente chiamare, e decide di soffermarsi sulla ringhiera. "Tu." a lui, che era sempre stato uno tra i tanti a restare, uno tra i tanti ad andar via. Per farla breve, ha vissuto una meravigliosa relazione con un ragno. Mi ha raccontato oggi delle loro danze. Di come si sentisse onorato, dell’eleganza con cui l’animaletto lo facesse sentire al centro della propria vita. Di come sia finita, con le prime gelate, con la crudeltà e la necessità con cui le cose sono solite finire.

Adesso, imbiondito dal sole e dalla neve ma ancora saldamente aggrappato per resistere al vento, quel capello è architrave di una splendida casa abbandonata. Le permette di estendersi coraggiosamente tra le sbarre, in alcune sue parti funziona da maestoso corridoio tra una stanza e l’altra della ragnatela.

Sembra soddisfatto, dopotutto.
Trema lievemente ad ogni alito di vento.



distanti come i capi di una corda che le nostre dita pizzicano
e vibra come un organo di note silenziose ad ogni battito
.. Tic..Tac..
Oscilliamo come un pendolo.

domenica 23 febbraio 2014

cosa direi?




Always have to go back to real lives
But real lives are why we stay for another dream

venerdì 21 febbraio 2014

la strada del ritorno


“Touched by her fingers, the two surviving chocolate people copulate desperately, losing themselves in a melting frenzy of lust, spending the last of their brief borrowed lives in a spasm of raspberry cream and fear.”

Non ho mai avuto un grande senso dell'orientamento. Anzi: mi perdo continuamente, ad ogni passo e cenno. Ma c'è una strada che non perdo mai.

Non è mai la stessa strada. Anche quando riesco a ricordare l'itinerario e percorrerlo a ritroso. È sempre la stessa strada.

Non è il momento in cui finisce una lunga giornata di lavoro, nè quello in cui saluti gli amici dopo aver bevuto insieme e riso tanto senza motivo. La gioia di aver lavorato. La dolce amarezza del tempo sprecato, che avendo sprecato insieme chiamiamo "ritrovato". Non è neanche ritrovarti in casa, e sentirti a tuo agio solo dopo avere impiegato la vita a trovare motivi validi per starne fuori.

È la strada del ritorno.

Non sembra avere mai fine, non sembra durare mai abbastanza. Non si allunga né s'accorcia, se qualcuno ti aspetta; non diventa più impervia se sei stato dimenticato. Prende il suo tempo, è lunga esattamente quanto la tua pellicola di ricordi, incombenze, fantasie. Prova a srotolargliela sopra e vedrai: non un centimetro più, non uno meno.


The Earth laughs beneath my heavy feet
At the blasphemy in my old jangly walk
Steeple guide me to my heart and home
The sun is out and up and down again

lunedì 17 febbraio 2014

contro l'insorgere del grande nulla



Il fatto è che io non sto bene, quando non ho nulla da fare. Forse è vera l'ossessione per il futuro che mi è stata attribuita, ma trovo intollerabile l'idea dei giorni passati nell'attesa che passino in fretta, che torni presto l'estate, e con essa il lavoro immersivo ed esagerato. Anche riempiendo l'attesa di letture, musica, film, serate con amici, alcool e sigarette, mi sembra di essere come in quei momenti in cui mi accorgo che qualche frequenza sta per innescare un larsen: sento che di lì a poco potrebbe insorgere il grande nulla.

Così la settimana scorsa ho passato tre giorni a Roma perché non avevo nulla da fare. Un amico cercava passeggeri per dividere le spese di viaggio e ne ho approfittato senza pensarci troppo. Sono stati giorni senza storia, ma ricchi di conversazioni. Una in particolare ha finito col rappresentare il centro del ricordo della mia permanenza capitolina: in inglese, con un fonico francese ubriaco particolarmente appassionato all'idea che gli italiani non abbiano più sogni, giunta - sul far del mattino - alla conclusione, da parte sua, che io la pensassi come lui e che di conseguenza dovrei impegnarmi a farmi portatore della Rivoluzione. Eccolo là, il francese, ho pensato, annuendo e congedandomi.

Oggi ho lavorato ad uno spettacolo intitolato Chisciottimisti: un alternarsi di monologhi di Erri De Luca e intermezzi musicali. Il tema portante è facilmente intuibile. I mulini a vento tirati in ballo sono molto numerosi: il cristianesimo attecchito in pieno Impero Romano, tra dèi, lari e penati; i 600 alberi del Gezi Park di Instanbul; le riunioni di poesia gremite durante le persecuzioni naziste in Olanda; di come visse e morì il Che, e di come Monika lo vendicò; le manifestazioni in Val di Susa e Lampedusa, i versi di Marina Cvetaeva. 

Mi spiace che nei monologhi non abbia trovato spazio Niscemi e il Muos, ma il "Chisciottimismo" dalle mie parti si chiama - si dovrebbe chiamare - Rivoluzione. Apprezzo l'accortezza di parlarne per una serata intera senza mai nominarla esplicitamente, per farsi ascoltare anche da chi tirerebbe dritto fischiettando, o almeno lasciare la confortante possibilità di un'interpretazione romantica - letteraria. E per filtrare i cretini.

La rivoluzione bisogna sussurrarla.
Ecco cosa succede a dare ascolto ai francesi ubriachi a Roma.



Ecco ancora una finestra,
dove ancora non dormono.
Forse - bevono vino,
forse - siedono così.

[...]

Prega, amico, per la casa insonne,
per la finestra con la luce.