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amiamoci e patiamo.

lunedì 31 marzo 2014

l'uomo che era tempo


L'uomo che era tempo non ricordava le facce quasi mai. Nei luoghi che era solito frequentare erano in molti a salutarlo e chiedergli: come stai? ottenendo risposte il cui contenuto era poco sentito, al contrario del sorriso che restituiva loro. Gli piaceva che la gente si ricordasse di lui.

È sempre stato molto ambito. Circondato da persone che lo cercavano ogni giorno, mentre lui non riusciva a farsi trovare: il suo problema era il bisogno di verità. A causa di questo, sapeva amare fortissimo e concedersi del tutto. Finiva presto per essere stimato prezioso e necessario da chi non riusciva ad averlo, e ammazzato e ridotto in ritagli da chi avrebbe potuto disporne a proprio piacimento. L'uomo che era tempo non era capace di tornare indietro, perché i rimpianti lo avvelenavano. I rimpianti altrui: egli infatti non sapeva risparmiarsi neanche volendo, così le sue mancanze  acquisivano presto i contorni di necessità plasmanti, peculiarità. Per questo invecchiava molto bene, ed era sempre nuovo.

Si rendeva conto di non sapersi esprimere del tutto, così riusciva a far conoscere di sé solo alcuni volti. Solo gli artisti, solo alcuni artisti riuscivano a interpretarlo per intero; o perlomeno nell'interezza di un istante.

L'uomo che era tempo si dava in pasto a Desiderio, che di lui e di assenze si nutre. Non poteva sottrarsi, dunque lo odiava. E, come chiunque altro, era affascinato da ciò che non poteva ottenere da solo; nel suo caso, fermarsi. Per questo non smetteva di corteggiare Sogno e Morte.

Era limitato, aveva un inizio ed una fine. Era sempre libero e mai padrone di sé. I suoi grandi punti deboli erano coincidenze e opportunità, e vi cedeva immancabilmente, anche quando sapeva che si sarebbe perso.

Aveva l'aria malinconica di chi si guarda indietro e attenta di chi tende al futuro. Molte cose che aveva ritenuto importanti finiva per dimenticarle e alcuni dettagli se li teneva stretti. Dava una risposta ad ogni domanda che gli veniva posta, anche se non subito - anzi spesso quando non era più utile, ma fastidiosa.

Aveva un concetto di puntualità molto personale, un pessimo tempismo ed era meticoloso nel rispetto delle scadenze al punto da farsi paura da solo. Gli piaceva lavorare perché sapeva che, non potendo mai fermarsi, non sarebbe rimasto importante per nessuno; ma utile sì, utile riusciva ad esserlo, e non voleva rinunciarvi.
Alcuni hobby lo salvavano dal dolore quando il lavoro non c'era: si occupava della sua collezione di cicatrici e lo divertiva scrivere storie (ma finiva sempre per raccontare sé stesso).

L'uomo che era tempo rispettava la legge: dunque lasciava dei segni, rompeva e rimescolava, dava il suo contributo al disordine e alla distruzione. Ogni tanto - ma di nascosto e raramente, per non farsi scoprire – si divertiva ad aggiustare le cose.

Era un gentiluomo, e molti confondevano la sua cortesia per bontà o altruismo; e invece per nessuno al mondo aveva rinunciato a essere come a lui piaceva, e in fin dei conti pochi sono stati tanto egoisti quanto lui.

Così era quest'uomo, che forse vive ancora. Ma io sono un tecnico e non un artista, e nulla saprei raccontare del suo presente.





In the night he's a star in the Milky Way 
He's a man of the world by the light of day 
A golden smile and a proposition 
And the breath of God smells of sweet sedition






"Se l'Inferno fosse davvero in costruzione" (si sorprende a pensare),
"le notti come questa potrebbero esserne i mattoni." 

venerdì 28 marzo 2014

gradi di separazione


In seguito ad una lunga giornata in fermento o per vincer la noia dell'invecchiamento, gli alcoolici amano incontrarsi di sera al bar per consumare qualche persona insieme e farsi compagnia.

Come quei due elegantoni dall'atteggiamento spumeggiante: se ti avvicini, potrai sentire i loro frequenti brindisi a questo o quel buon proposito per l'avvenire. Potrà sembrarti sciocco da parte loro, ma non vedi come sorridono? Non far loro il prosecco alle intenzioni.

Mentre in quell'angolino, nella luce soffusa, una distilla signora - di una certa età, ma invecchiata bene - approfondisce la conoscenza di quell'elegante borghesino dalla voce calda e l'espressione arabica. Sa del suo passato amaro e di come sia privo di spirito, ma si aggrappa all'idea di fare di lui un caffè corretto.

Poco distanti da loro, al lume di candela, potrai scorgere quei due bicchierini conversare tra loro in modo sconnesso. Sono Sambuca e Assenzio, stanno facendo anicizia.

Vodka, quella bella ragazza dell'est in piedi, sta invece corteggiando il sig. DiSaronno, uomo dolce e gentile ma ancora più anziano di quanto possa tradire la sua etichetta. Lei pensa che insieme sarebbero un buon cocktail. Lui ha perso l'amaretta via.

Dall'altra parte, nella zona più illuminata - potrai riconoscerli dagli abiti firmati e i modi inconfondibili da giovani rampanti impegnati in politica - stanno i soliti quattro bianchi al bar che volevano cambiare il mondo. Hanno modi molesti ed eccessivi, mentre uno di loro sfodera il suo cavallo di battaglia, annoiando gli altri per ore con la solita storia delle Convenzioni di Ginepro.

Isolato, Mirto prende un foglio di carta e butta giù qualche sketch con la China.

Quei due che mormorano sono Capitan Morgan, vecchio contrabbandiere di canne da zucchero e cacao dalla pelle ambrata, e Sandeman, sanguigno spilungone che spaccia sogni al Porto.

Un nutrito gruppetto di bionde, rosse e scure parlottano alla rinfusa di gonfiori di stomaco, imbottigliamenti nel traffico e altre questioni spinose, di quando in quando pettinandosi le schiume

Al bancone, alcuni vecchi amici si ritrovano dopo cena e conversano con leggerezza di ogni cosa; mascherando con un sapore dolciastro le proprie amarezze, per meglio digerirle.

In disparte, alcuni Whisky aspettano e aspettano, neanche loro sanno cosa, con aria malinconica e torbata.






And all the smiles that I wear 
And all the games that I play 
And all the drinks that I mix 
And I drink until I'm sick 
And all the faces that I make 
And all the shapes that I throw 
And all the people I meet 
And all the words that I know 
Makes me sick to the heart 
Oh I feel so tired

And the way the rain comes down hard 
That's how I feel inside

giovedì 27 marzo 2014

Cerino il funambolo


Cerino ricorda bene la sua prima caduta. Gli capita di raccontarla ogni tanto: la perdita di concentrazione, il baricentro sbagliato, l'errore nel tempismo e nella misura del passo.  E ancora: l'incredulità e la sensazione di vento in faccia prima dell'impatto. Ma tra questi ricordi,  non c'è mai la paura di morire. Quello che l'ha fatto esitare prima di riuscire a tornare sulla fune era la memoria viva degli sguardi degli spettatori, la loro espressione mentre, dolorante ma intero, annunciava loro "Non è niente, è solo un graffietto". Si rese subito conto di averli delusi. Né trionfo, né tragedia: capirono tutti che non c'era più niente da vedere. "Ognuno torna al proprio ruolo con un ricordo da poco, buono al massimo per riempire un silenzio di scena", racconta in conclusione, affezionato com'è alla sua distorsione cognitiva che lo porta a percepire tutta la realtà come uno spettacolo.

Fin da bambino ha manifestato simili propensioni. Per i compagni di scuola  era il clown dall'espressione triste e la battuta pronta, per la madre - ahilei! - l'acrobata che si lanciava giù per le scale in sella al triciclo o vagava su e giù per il cortile in piedi su un cilindro che rotola (di solito vecchie bombole del gas, vuote). Si allenava per giorni interi, nel magnifico isolamento della sua infanzia, e si sentiva importante quando gli capitava di esibirsi davanti al piccolo pubblico di parenti, con le loro esternazioni miste di rimprovero per il rischio e apprezzamento per il coraggio e la destrezza.

Siccome Cerino vive nel suo mondo sospeso e non conosce altre arti né parti, non ha idea di come debba muoversi o parlare in scena quando il copione non preveda una corda, e lui a camminarci sopra.
Finché si tratta di far da comparsa, se la cava: nessuno presta attenzione al fatto che i suoi movimenti, necessari per stare in equilibrio su una corda tesa, si rivelino goffi e ridicoli al suolo. Passi lenti e misurati, concentrazione evidente, controllo esagerato e del tutto innaturale, perfino della respirazione. Ma basta tenersi un po' in ombra e nessuno si accorge, e può godersi i suoi amati spettatori nello scambio di ruoli: lui figurante nel pubblico che sorride e applaude a loro che ballano sapendo danzare, intonano sapendo cantare, interpretano sapendo recitare.

Così Cerino lasciava scorrere la sua vita equilibrata: se stesso a cinque metri da terra, e ben nascosto mentre si aggira tra gli altri. Un giorno, dopo il passo conclusivo del suo numero, mentre volgeva lo sguardo giù per ringraziare il pubblico acclamante, si accorse di una donna che chiamava il suo nome più forte degli altri, e con più partecipazione batteva le mani. La riconobbe, le sorrise: era la bella Palmira. Quante volte, da figurante, le aveva rivolto il suo applauso e il suo sorriso. Ma lei era illuminata dai proiettori di scena e lui nascosto nel buio, credeva che non sarebbe mai stato notato.

Quando scese, lei lo aspettava. Lo invitò a danzare con lei. Non riuscì a dire altro che "Sì." - e la seguì. Ballarono subito, ma nonostante la sicurezza e la gentilezza dei movimenti di Palmira, Cerino rovinò tutto con quei suoi passi inesperti e macchinosi. Nel peggiore dei modi: non per scarso interesse o impegno, ma pur facendo del suo meglio. Palmira non lo disprezzò per questo ma, continuando a sorridergli, lo accompagnò - tenendolo per mano - nel pubblico, e tornò a danzare con chi sapeva tenere il suo passo. Cerino si rese conto di non riuscire più a trarre piacere dalla sua grazia, ma solo gelosia e frustrazione.

Poi si odiò: non aveva paura di camminare sempre sul baratro, ma non riusciva a lasciarsi andare in un semplice ballo con lei. Poi la odiò: continuava a ricevere da lei sguardi e sorrisi, ma ogni volta che provava a raggiungerla, lei si allontanava. Non poteva starle accanto, ed era privato anche della possibilità di far passare inosservata la sua scarsa attitudine alla vita sulla terraferma. Solo come prima, e per di più smascherato.
Incapace, in ogni caso, di rinunciare a quegli sguardi e a quei sorrisi, non gli restò che abbandonarsi alla loro dolce crudeltà fino alla fine dello spettacolo.

Presto per Cerino ritornerà il momento di salire sulla fune, e tornare a fare la sua parte. A presentarsi con un inchino (urleranno ritmicamente il suo nome dopo il rullo di tamburi), spostare il primo piede sulla corda e il peso del corpo su quel piede (il brusio si spegnerà rapidamente), gestire un'esitazione o un improvviso soffio di vento (sarà sorretto dal fiato sospeso del pubblico), continuare passo dopo passo con fluida lentezza (sentirà qualche sommesso colpo di tosse o il lamento di un bambino), far durare gli ultimi passi affinché sembrino non finire mai (da sotto cominceranno a incoraggiare a bassa voce), fino ad arrivare all'altra estremità tra applausi e ovazioni.

E dopo la fine del numero, andranno tutti via. Nessuno avrà il fiato sospeso quando troverà il coraggio di cercarla con lo sguardo, nessuno continuerà a scandire ritmicamente il suo nome mentre scenderà un piolo dopo l'altro, nessuno lo incoraggerà a bassa voce mentre - incamminandosi goffo e ridicolo - andrà di nuovo a vederla ballare.




When we were dancing
I saw the look in your eye
Now we are strangers
Lost in a sea full of sighs

giovedì 13 marzo 2014

io non sogno di volare


Ne parlavo ieri con un amico, di come invecchiano male le parole.

Come Noi, che una volta aveva il calore di un abbraccio, sia diventata una cornice capace di far passare per capolavoro la crosta della propria solitudine. Anche ad essere Coinvolto non ci si sente più come due bambini a letto - estraniati e protetti sottocoperta mentre fuori biancheggia il fortunale - ma come lo stupido capitano che gioca a far l'eroe, e tra cotante rotte porta il galeone proprio sulla tempestosa. Tracotante, responsabile, colpevole.

Io sono un treno, e non sogno di volare. Come potresti perdonarmi la distanza, se potessi farlo? Penseresti che sia una mia scelta. E non sopporterei: guardarti dall'alto (voglio continuare a vederti gigante), temere il vento.

Mi piacciono i binari. Prima di tutto sono dedicati a me, li hanno fatti apposta. È stato un pensiero carino. Poi mi permettono di fantasticare sui luoghi fuori dalla mia portata, immaginarmi vette immerse solo nel candore e non nel gelo della neve, colori lacrimosi dei fondali marini, morbidi prati del Paradiso dei Marinai, meravigliosi paesini di quelli che una ferrovia qui neanche per Sogno. E chi vuole fare un po' di strada con me, o solo incontrarmi, o morirmi contro in un bacio, sa sempre dove trovarmi. Deve solo aspettarmi.

Sono un treno lungo, pesante, rumoroso, malinconico malconcio ma-non-si-fer-ma-mai. Lento a partire, stento a fermarmi. Chouf chouf, fumo e tossisco. E non sogno di volare.

The Sandman #15 - The Doll's House, Part 6: Into the Night released by Vertigo on April 1990.



Baby boom goes straight to the edge
And someone hollers "jump"
You gotta be dead to be bigger than life
But everyone's afraid to fly

mercoledì 12 marzo 2014

de ludo


Mentre facevo la doccia, ho pensato a tutta una serie di giochi da tavolo di sicuro successo.

Maratona
Categoria: Simulazione
Corri senza fermarti mai per un periodo di tempo che solo a te sembra estenuante, portando con te un messaggio importantissimo della cui assenza il mondo non si sarebbe nemmeno accorto. Alla fine muori.

D20
Categoria: Scommesse
Il gioco è ambientato in un'assurda dimensione parallela in cui l'idea di progettare è pura illusione, ed è molto semplice: affiderai ogni scelta di vita ad un lancio di dado. Lo scopo del gioco non è vedere cosa ottieni, ma cosa diventi.

L'isola di fuoco
Categoria: Avventura
Una lussureggiante isola traboccante meraviglie si rivela una trappola per chi la abita. Vince chi fugge.

Gluedo
Categoria: Giallo
Qualcuno ha sparso sotto i tuoi passi un potente e invisibile collante. Ostacola il tuo cammino, e le sue esalazioni non ti permettono di ragionare. Vince chi trova il solvente, scopre il colpevole, si libera.

In rovina chi
Categoria: Party Game
Ci si vede tra amici e si condividono i progetti per il futuro. Ognuno pensa, senza rivelarle, a tutte le incoerenze e le incosistenze dei progetti altrui. Non vince nessuno, ma rimane un buon passatempo.

Il piccolo demiurgo
Categoria: Strategico
Si gioca da soli. Hai un piccolo mondo da costruirti attorno e in cui sentirti artefice del tuo destino. Suggerimento: ricordati di creare validi motivi esterni per la disfatta.

Cara o che
Categoria: Scommesse
Il gioco consiste nell'indovinare quali siano le persone giuste di cui prendersi cura.

Bank!
Categoria: Gioco di Società
I giocatori si dividono in due squadre, chi rapina una banca e chi la fonda. Vince chi ruba di più.

Repentino
Categoria: Educativo
Su una plancia coloratissima bisogna collegare con due connettori magnetici azioni e conseguenze in rapida successione. Se la combinazione genera un segnale acustico, ci si ferma per un turno a provare rimpianto prima di ricominciare a giocare.

Scare about
Categoria: Horror
Ogni giocatore ha a disposizione pochi secondi per trovare le parole giuste da incrociare con quelle degli altri. Lo scopo del gioco è restare senza niente da dire, e niente di inespresso.


And this is not a case of lust, you see
it's not a matter of you versus me
It's fine the way you want me on your own
but in the end it's always me alone

 And I'm losing my favourite game.

giovedì 6 marzo 2014

cenere


Desidero tornare in quel posto tanto buio che le stelle sembrano vicine da alzare un braccio per afferrarle.

È bello vedere da lontano le ferite non rimarginate dell'Etna.

Se solo le mie mani non fossero così pesanti.



- Tra tutti i vizi che mi sono permesso in gioventù, non c'è mai stato quello del fumare.
- Perché sei ancora un bambino, e il bambino non sente il bisogno di fumare.