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amiamoci e patiamo.

giovedì 27 marzo 2014

Cerino il funambolo


Cerino ricorda bene la sua prima caduta. Gli capita di raccontarla ogni tanto: la perdita di concentrazione, il baricentro sbagliato, l'errore nel tempismo e nella misura del passo.  E ancora: l'incredulità e la sensazione di vento in faccia prima dell'impatto. Ma tra questi ricordi,  non c'è mai la paura di morire. Quello che l'ha fatto esitare prima di riuscire a tornare sulla fune era la memoria viva degli sguardi degli spettatori, la loro espressione mentre, dolorante ma intero, annunciava loro "Non è niente, è solo un graffietto". Si rese subito conto di averli delusi. Né trionfo, né tragedia: capirono tutti che non c'era più niente da vedere. "Ognuno torna al proprio ruolo con un ricordo da poco, buono al massimo per riempire un silenzio di scena", racconta in conclusione, affezionato com'è alla sua distorsione cognitiva che lo porta a percepire tutta la realtà come uno spettacolo.

Fin da bambino ha manifestato simili propensioni. Per i compagni di scuola  era il clown dall'espressione triste e la battuta pronta, per la madre - ahilei! - l'acrobata che si lanciava giù per le scale in sella al triciclo o vagava su e giù per il cortile in piedi su un cilindro che rotola (di solito vecchie bombole del gas, vuote). Si allenava per giorni interi, nel magnifico isolamento della sua infanzia, e si sentiva importante quando gli capitava di esibirsi davanti al piccolo pubblico di parenti, con le loro esternazioni miste di rimprovero per il rischio e apprezzamento per il coraggio e la destrezza.

Siccome Cerino vive nel suo mondo sospeso e non conosce altre arti né parti, non ha idea di come debba muoversi o parlare in scena quando il copione non preveda una corda, e lui a camminarci sopra.
Finché si tratta di far da comparsa, se la cava: nessuno presta attenzione al fatto che i suoi movimenti, necessari per stare in equilibrio su una corda tesa, si rivelino goffi e ridicoli al suolo. Passi lenti e misurati, concentrazione evidente, controllo esagerato e del tutto innaturale, perfino della respirazione. Ma basta tenersi un po' in ombra e nessuno si accorge, e può godersi i suoi amati spettatori nello scambio di ruoli: lui figurante nel pubblico che sorride e applaude a loro che ballano sapendo danzare, intonano sapendo cantare, interpretano sapendo recitare.

Così Cerino lasciava scorrere la sua vita equilibrata: se stesso a cinque metri da terra, e ben nascosto mentre si aggira tra gli altri. Un giorno, dopo il passo conclusivo del suo numero, mentre volgeva lo sguardo giù per ringraziare il pubblico acclamante, si accorse di una donna che chiamava il suo nome più forte degli altri, e con più partecipazione batteva le mani. La riconobbe, le sorrise: era la bella Palmira. Quante volte, da figurante, le aveva rivolto il suo applauso e il suo sorriso. Ma lei era illuminata dai proiettori di scena e lui nascosto nel buio, credeva che non sarebbe mai stato notato.

Quando scese, lei lo aspettava. Lo invitò a danzare con lei. Non riuscì a dire altro che "Sì." - e la seguì. Ballarono subito, ma nonostante la sicurezza e la gentilezza dei movimenti di Palmira, Cerino rovinò tutto con quei suoi passi inesperti e macchinosi. Nel peggiore dei modi: non per scarso interesse o impegno, ma pur facendo del suo meglio. Palmira non lo disprezzò per questo ma, continuando a sorridergli, lo accompagnò - tenendolo per mano - nel pubblico, e tornò a danzare con chi sapeva tenere il suo passo. Cerino si rese conto di non riuscire più a trarre piacere dalla sua grazia, ma solo gelosia e frustrazione.

Poi si odiò: non aveva paura di camminare sempre sul baratro, ma non riusciva a lasciarsi andare in un semplice ballo con lei. Poi la odiò: continuava a ricevere da lei sguardi e sorrisi, ma ogni volta che provava a raggiungerla, lei si allontanava. Non poteva starle accanto, ed era privato anche della possibilità di far passare inosservata la sua scarsa attitudine alla vita sulla terraferma. Solo come prima, e per di più smascherato.
Incapace, in ogni caso, di rinunciare a quegli sguardi e a quei sorrisi, non gli restò che abbandonarsi alla loro dolce crudeltà fino alla fine dello spettacolo.

Presto per Cerino ritornerà il momento di salire sulla fune, e tornare a fare la sua parte. A presentarsi con un inchino (urleranno ritmicamente il suo nome dopo il rullo di tamburi), spostare il primo piede sulla corda e il peso del corpo su quel piede (il brusio si spegnerà rapidamente), gestire un'esitazione o un improvviso soffio di vento (sarà sorretto dal fiato sospeso del pubblico), continuare passo dopo passo con fluida lentezza (sentirà qualche sommesso colpo di tosse o il lamento di un bambino), far durare gli ultimi passi affinché sembrino non finire mai (da sotto cominceranno a incoraggiare a bassa voce), fino ad arrivare all'altra estremità tra applausi e ovazioni.

E dopo la fine del numero, andranno tutti via. Nessuno avrà il fiato sospeso quando troverà il coraggio di cercarla con lo sguardo, nessuno continuerà a scandire ritmicamente il suo nome mentre scenderà un piolo dopo l'altro, nessuno lo incoraggerà a bassa voce mentre - incamminandosi goffo e ridicolo - andrà di nuovo a vederla ballare.




When we were dancing
I saw the look in your eye
Now we are strangers
Lost in a sea full of sighs