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amiamoci e patiamo.

domenica 26 ottobre 2014

Oliver


Oliver mi ha detto che è molto importante saperci fare con la Domenica. Che è il giorno delle partite impegnative e bisogna giocarsela bene. Così oggi sono andato a seguire un incontro di rugby, a fare il tifo per un amico. Mi sono divertito anche se ho perso il conto dei punti e non ho capito le regole; il gioco rimane senz'altro uno dei due buoni motivi per faticare e farsi male. Ho scambiato una sola monetina per un sacchetto di carta colmo di caldarroste; un vero sollievo per le mani.

Stavo lì a occuparmi della polpa attirando le attenzioni di una cagnolina di due mesi e mezzo, mentre mi investivano le parole delle donne attorno: esatte, attente, appassionate.

- Guarda quanti ormoni in campo!
- Prendi terreno! Prendi terreno!
- Stefano sta zoppicando.
- L'importante è che si divertano.
- Fa più male guardarli che essere con loro in campo
- Sta zoppicando, l'ho visto che sta zoppicando.
- Stanno giocando bene! È per questo che mi arrabbio
- Io l'ho visto. Sta zoppicando.
- Quanti mesi ha? Che bel musetto! 
- Lo vedi, che sta zoppicando?
- L'hai trovata o l'hai comperata?
- Fa molto più male guardarli.
- Quanto manca alla fine? Io sto soffrendo
- Me l'hanno regalata. Perché è un meticcio.
- Sta zoppicando! Ma come fa a giocare così?

Oliver non ha simpatia per i cani, ma neanche li teme. Per loro prova tenerezza e ne fa volentieri destinatari del suo esuberante affetto da gatto rosso.

Io l'ho conosciuto un mese fa, poco prima di quest'Ottobre infinitamente lungo e già alla fine, mentre litigavo con la notte. È elegante, ingombrante, silenzioso, con la testa tonda, e molto bello. Non corre mai, ma cammina svelto. La sua ospite mi aveva avvisato: non impressionarti, i suoi modi non sono sempre felini. È un gatto da riporto!  Non è stato motivo di stupore per me. Il nome l'ho appreso solo un paio di giorni fa dall'altro uomo con cui abita, davanti al cancello di casa. Oliver! Non allontanarti! - Torna, torna. l'ho rassicurato. - Sì, ma sai, non s'è ancora abituato alla nuova casa, così quando va in giro, poi spesso finisce per tornare dove stavamo prima e ci tocca andarlo a prendere lì.

L'ho incontrato anche in un'altra occasione. C'era il sole, stendevo il bucato. Lui s'è avvicinato, mentre una gattina grigia ci guardava gelosa, seminascosta dietro l'angolo. Abbiamo parlato delle abitudini in comune, e ci siamo trovati sulla notte: entrambi la preferiamo perché bisogna conquistarsela, corteggiarla, a volte tollerarla ed altre maledirla, ascoltarla sempre. La notte è una presenza, sa starti vicina e entrarti dentro, o avvolgerti. Anche il sole non è male ha poi miagolato, ma è come i cani. Quando c'è, è normale che ti faccia stare bene. Bravo, fagli asciugare i tuoi calzini: bisogna approfittarne finché c'è. A quel punto mi sono intenerito e l'ho accarezzato, e la grigina non è più riuscita a far finta di niente: restando a debita distanza, ha cominciato a soffiare rabbiosamente contro di lui. Oliver mi ha sussurrato non farci caso, è st'Estate di San Martino. Vedrai che l'Inverno non tarderà e dormiremo un po' di più tutti, per poi tentare di avvicinarsi a lei. Ha rimediato un miagolio stizzito e una zampata schivata grazie ai suoi buoni riflessi, dopodiché è scappata via, e lui ha affrettato il passo per seguirla, per quanto gli fosse possibile senza correre.


we could slip away
wouldn't that be better?
me with nothing to say
and you in your autumn sweater




mercoledì 15 ottobre 2014

venirne a capo


Mi chiedi cosa faccia ogni notte sveglio. Non ci sono rituali, ognuna ha la sua storia.

Devo imparare a sentirmi a casa qui, te l'ho detto. Di notte ne sento la voce. Abituandomi al ronfare del frigorifero semivuoto - un vocino da donna anziana dal respiro affannoso - sento emergere il woooosh di qualcosa che scorre senza mai smettere. Piccoli rumori di qualcosa che si sposta all'interno di una dispensa mi regalano istanti di vero allarme.

Gli insetti - minuti invasori - escono allo scoperto, e do loro la caccia. Ho avuto un ospite, qualche settimana fa: un grosso gatto rosso bene educato, che non ha miagolato neanche un commento sul disordine. Convenevoli silenziosi, un aristocratico contegno ha limitato la sua indole evidentemente affettuosa, consentendogli di mantenere le giuste distanze ed evitare strusciamenti.
Mi piacerebbe ricevere di nuovo la sua visita, credo che lo divertirebbe unirsi a me nella caccia; ma non è più passato a trovarmi.

Per il resto non leggo libri, fumo sigarette, gusto il sapore diverso che hanno le mele, il cioccolato, lo yogurt bianco, il pane e le solite cose che mangio anche di giorno, di notte. Passo troppo tempo su internet a giocare, ripromettermi di iniziare un film (a volte provo, ma mi arrendo dopo pochi minuti), a dialogare con persone lontane, chiedere loro stai bene? e mentire a loro e a me stesso dicendo che sto per mettermi a letto.

Indago sul mio corpo, mi chiedo se funzioni. Funzionicchia, come la Cinquecento: qualche aritmia nella camera di scoppio, qualche noia a giunti e trasmissione, rumori strani, ammaccature e ruggini, e intanto tira avanti. Mi faccio diagnosticare una serie di malattie da Google, in seguito ad una rapida autoanamnesi; sto abbastanza bene, però mi dico per poi rendermi conto che per avere un confronto su altri stati di salute non drogati da sostanze e circostanze dovrei tornare indietro fin dove la memoria non può più accompagnarmi. Figuriamoci la Cinquecento.
A quel punto decido che per sentirmi a casa qui dovrei avere un medico curante. Non ne ho mai avuto uno, perché ad Acireale il mio medico di famiglia è papà. Tutto bene, finché sono stato piccolo abbastanza da parlargli. Non ho idea di come si faccia a diventare assistiti, ma sono paziente. Anche stavolta chiederò ai miei amici, che pur non conoscendomi bene hanno già smesso da tempo di essere sorpresi o spaventati dalle mie stravaganze.

Aleggio su vite altrui annunciato da un pallino verde, come se avessi lasciato una delle mie iridi a sigillo del nome che sono. Commento senza posa, pizzicando di volta in volta una delle mie tre corde: la seria, la civile o la pazza. Taglio fili, è uno dei miei nuovi passatempi preferiti. Più di duemila nelle ultime settimane. Ho iniziato con i pubblicitari, continuato con i nomi che non mi dicevano niente, proseguito con molte donne che avevo coinvolto perché mi erano piaciute e molte altre che mi volevano comprare. Dopo una prima sgrossatura la ricerca è diventata laboriosa, così ho cambiato metodo. Ogni notte controllo la lista dei compleanni e, una ad una, ficco il naso in quelle vite. Se il nome non mi è immediatamente familiare, basta notare una qualsiasi forma di attivismo politico per rimuoverle senza ripensamenti; altrimenti valuto l'età, controllo che non ci siano conversazioni passate o questioni in sospeso da anni. Ne guardo le foto, ne giudico insindacabilmente le ispirazioni. E poi le cancello, basta un click.

Quando voglio forzarmi a prendere sonno mi masturbo, poi il pentimento accompagna a letto la coscienza. Mi rendo conto che non è gentile, da parte mia, dirtelo così. Del resto sei tu che hai formulato la domanda, e poi non ti ho costretto io a leggere questo fazzoletto imbrattato.

Ma so che la tua domanda era retorica, e che la risposta più educata sarebbe stata niente.

Scusami. È che devo cominciare ad andare a dormire prima, se voglio svegliarmi di mattina e andare a cercare un medico.


Is the sea everything?
Hello, hello.



mercoledì 8 ottobre 2014

altalenando


Camminando per le strade di Savigliano è molto facile imbattersi in minuscoli parchetti, tanto dolci da vedere alla luce del sole quanto lugubri di notte. Ne ho visti davvero molti! Nascosti dietro i condomini, vicini ai quadrivi, di qua e di là del fiume Maira, lungo i vicoletti. Fazzoletti di prato d'una decina di metri quadri, quattro panche, una fontana, pattumiere, a volte una giostrina meccanica o uno scivolo, quasi sempre un'altalena. Quasi nessuno sembra abbandonato.

Irresistibilmente rimandano a un confronto con l'infanzia. Anche nella casa dove ho vissuto pomeriggi estivi interminabili c'è stata un'altalena. L'avevo costruita io, come la costruirebbe un bambino di sei anni: male. Avevo fissato alle estremità del piano di seduta - un pezzo d'asse un po' marcio - numerosi avvolgimenti di fil di ferro per agganciarlo alle corde, assicurate con l'unico nodo che conoscevo al ramo di un albero con le foglie e la chioma tonde, come quelli che disegnano i bambini. Questo era piantato in un'aiuola ricavata sul lato del cortile rialzato di un paio di metri sul livello della strada.

Siccome c'era la ringhiera vicina, per non battervi le ginocchia io ero costretto a dondolarmi dandole le spalle. Mi imprimevo una prima spinta aiutandomi con i piedi, poi sfruttavo piegamenti ed estensioni delle gambe per far crescere l'oscillazione fino al punto massimo, che mi vedeva per qualche istante sospeso a filo ringhiera, suscitando il terrore degli automobilisti che uscivano dalla curva e passavano di là.

Tra le sensazioni sedimentate nella memoria: il cigolìo prodotto dalla sollecitazione della corda sul fil di ferro, il crepitìo del ramo mentre mi davo lo slancio, il divertimento semplice del movimento e del vento in faccia, senza stipulare un contratto di fiducia con il ramo, la corda e le mie braccia mentre venivo proiettato all'indietro verso la strada. E poi mi piaceva scegliere il momento di stallo in avanti per saltare giù al volo.

Mi sono fatto male in decine di modi diversi, in quegli anni: lanciandomi rannicchiato dentro casse da frutta giù per rampe di scale trasformate in improbabili scivoli con assi di legno; improvvisando giochi da circensi con le bombole del gas vuote; andando per strada con skateboard o carretti fatti di assi e cuscinetti a sfera come ruote; correndo su sentieri boschivi o pietrosi con una vecchia bmx privata delle gomme; e ancora, costruendo fionde e archi e frecce, intagliando barchette nel legno, accendendo dei fuochi,  arrampicandomi su muretti e alberi, saltando giù dai terrazzamenti nell'orto, nel corso delle violente e quotidiane risse con mio fratello. Ma mai giocando con quell'altalena.

Sapevo giocare, in quello ero bravo. "Malu ragiunatu", mi diceva la nonna.

Guarda com’è pacifico il mondo.
La notte
ha imposto al cielo
un tributo stellato.




lunedì 6 ottobre 2014

lutto continua


Hai mai provato a stringere un chicco di grandine in un pugno? Non sempre puoi aspettare che si sciolga dentro, se è grande ci vuole molto tempo e fa male.

Così distendi un dito per volta, fino a lasciarlo cadere. È giusto così.
È proprio un vizio assurdo, chinarsi a raccoglierlo finché non svanisce completamente.

E le mie mani sono fredde.

The world is neither fair nor unfair
The idea is just a way for us to understand
No the world is neither fair nor unfair
So some survive
And others die 



mercoledì 1 ottobre 2014

memento morbi


Quando sei malato, molte deroghe sono concesse.

È lecito avere ogni paura, tranne la paura di avere paura. La pietà va a abbracciare la miseria, le dice che è piccola e bella (e lei si fa bella, e lei si fa piccola). È lecito non avere fretta di proclamare guarigione, lasciarsi passare nelle sale d'attesa.

Non ci si urli dentro per invocare forza e coraggio: sono impegnati, tutti intenti nel loro mestiere della lotta - che piaccia o no. Ma è concesso acquistarne da chi vuole tenerti vivo, al prezzo della riconoscenza.

Sono accordati giorni macinati a letto, sogni senza interpretazione, viaggi indolori tra i ricordi e alimenti digeribili.

È permesso guarire. Morire è un peccato perdonabile.


ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti